Il federalismo di Cattaneo non è quello di oggi/Ritornare al Titolo V originale Una degenerazione della politica attuale di Giuseppe Gizzi Le recenti tristi vicende della Regione Lazio, e più in generale i quotidiani scandali che investono anche l’attività delle altre Regioni, dovrebbero indurre i Repubblicani non tanto ad interrogarsi sulle pur gravi degenerazioni di certa politica, ma più nello specifico sulle attività degli Enti Locali e delle Regioni in particolare. La riforma del Titolo V, voluta dall’allora centrosinistra nel 2001 e passata attraverso il vaglio di un referendum confermativo, è legge dello Stato da oltre un decennio. Sarebbe il caso di farne un bilancio serio. Il federalismo, divenuto un mantra grazie all’azione della Lega Nord a partire dagli inizi degli anni novanta, ha trovato una sua parziale esplicitazione nella citata riforma costituzionale. A posteriori, secondo chi scrive, il bilancio risulta essere largamente deficitario. Oltre agli sprechi e alle inefficienze, il primo dato oggettivo che balza agli occhi è il seguente: sono cresciuti i costi per i cittadini ed è aumentata la tassazione. Gli obiettivi allora sbandierati dalla riforma, avvicinare i cittadini alle istituzioni, sono drammaticamente falliti. Avere introdotto la competenza bipartita e concorrente, oltre a generare un contenzioso sempre più elevato innanzi alla Corte Costituzionale per delimitare i confini precisi delle competenze, ha rallentato l’azione di governo, appesantendola di vincoli che si riverberano sulla ripresa economica del paese. Alcuni esempi: analizzando alcuni dati di spesa pubblica, si scopre che quella per gli enti locali (Regioni, Province, Comuni) ha ormai raggiunto come informava il "Sole 24 Ore" qualche settimana addietro, la metà della spesa complessiva globale al netto delle spese per interessi e quelle per le prestazioni pensionistiche. Si tratta di un dato drammatico, che non è sufficientemente tenuto in considerazione dagli analisti e dai commentatori politici, che continuano a propinarci la favola che serva ancora più federalismo. Ma se queste sono le premesse, basterebbe analizzare alcuni dati per comprendere che un’inversione di rotta è ineludibile. Ad esempio, dal passaggio delle competenze in materia sanitaria dallo Stato alle Regioni nel 2001, la spesa in questo settore è cresciuta in maniera esponenziale. Ben quattro Regioni rischiano il crac a causa della spesa eccessiva e si è verificato l’ironico e amaro paradosso che, nel mentre si chiudono ospedali e si tagliano i servizi, si registra una contemporanea impennata vertiginosa della tassazione regionale e delle addizionali. Per non parlare di altri settori come i trasporti, le cui reti locali sono sempre più stressate, con la totale assenza di investimenti specie nel settore ferroviario sulle reti locali, a causa di contratti di servizio capestro con Trenitalia, unico monopolista del servizio, che penalizzano milioni di lavoratori pendolari. Per non parlare del lavoro. Dalle politiche attive alle legislazioni, come quella sull’apprendistato che soffre da anni di false partenze, sebbene la riforma del Mercato del Lavoro abbia puntato moltissimo su questo strumento, a causa dell’assenza del varo in molte realtà regionali dei profili formativi, esclusiva competenza delle Regioni. Per sottacere infine, delle politiche turistiche e agricole, in cui l'assenza di un forte coordinamento nazionale sta penalizzando fortemente l’Italia, sia sul piano dell’afflusso turistico che della perdita di quote di mercato per le nostre imprese. Per cui, di fronte ad un quadro così desolante la risposta sarebbe quella di volere più federalismo? Ritengo invece che la strada da intraprendere sia esattamente quella opposta. Quella cioè di ritornare alla situazione precedente alla Riforma del Titolo V, nella quale le Regioni avevano poche e delimitate funzioni. Questa potrebbe essere una strada virtuosa per il Paese. I Repubblicani dovrebbero farsene interpreti, nel loro spirito battagliero e anti-convenzionale che li ha sempre contraddistinti. E le ripercussioni positive si estenderebbero sia alle Casse dello Stato che a quelle dei cittadini, che la smetterebbero di pagare per le attuali inefficienze e storture di un’idea sicuramente nobile, ma che all’atto pratico si è rivelata di difficile attuazione nel nostro Paese. Almeno nella versione che abbiamo conosciuto dal 2001 ad oggi. |